E dopo Degasperi, passiamo a VITTORIO EMANUELE ORLANDO
Parlare di Vittorio Emanuele Orlando non è facile. La sua bibliografia è interminabile.
Figura di spicco dell'Italia senza coscienza , dei compromessi parlamentari, della consorteria di Montecitorio, quella in poche parole liberale , intraprende la strada dell'oblio sotto il governo di Mussolini per riapparire a guerra oramai terminata, nel 1944, dando il suo sporco contributo alla nascita della Repubblica italiana.
Oggi noi vorremmo concentrarci , grazie ad un volume in nostro possesso, sulla sua carica di rappresentante a Parigi della nostra Madre Patria , di colei che ha pianto i suoi 650 mila figli caduti per l'Amor suo, per donare un avvenire glorioso al proprio Popolo.
"Nel novembre 1918, al termine della "Grande guerra", Orlando, ormai noto come il "Presidente della vittoria", cerca di promuovere l'affermazione degli interessi italiani nella ricostruzione del sistema politico europeo seguita al conflitto. A partire dal gennaio 1919, egli guida la delegazione italiana alla Conferenza di pace di Parigi [...]"
Con queste parole, il sito del Parlamento italiano , descrive la sua figura di presidente del Consiglio nelle ore tragiche della Conferenza di pace.
La Storia, tuttavia, è di tutt'altro avviso e la Verità apre le proprie ali per innalzarsi verso il cielo e mostrare tutta la sua bellezza , da decenni infangata dai prezzolati storici , crumiri dell'educazione nazionale.
Lo scritto che riporteremo è tratto dal primo volume:
STORIA DELLA RIVOLUZIONE FASCISTA di Roberto Farinacci ["CREMONA NUOVA", 1937].
Prima però, vorremmo incidere sul marmo della memoria , l' "involontario" epitaffio di questo signorotto, personaggio di primo piano dell'Italia infeconda e vigliacca , deputato della Consulta Nazionale italiana prima, e della Costituente poi, apparso su "L’Ora" del 28 luglio 1925:
“Se per mafia, infatti, si intende il senso dell’onore portato fino all’esagerazione, l’insofferenza contro ogni prepotenza e sopraffazione, portata sino al parossismo, la generosità che fronteggia il forte ma induge al debole, la fedeltà alle amicizie, più forte di tutto, anche della morte; se per mafia s’intendono questi sentimenti, e questi atteggiamenti, sia pure con i loro eccessi, allora in tal senso si tratta di contrassegni individuali dell’anima siciliana, e mafioso mi dichiaro io e sono fiero di esserlo“. [ Intervento di Orlando al cinema Diana di via Ruggero Settimo]
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ROBERTO FARINACCI SULLA FIGURA DI S.E. ORLANDO
Orlando, che era stato il patrono di
tutti i neutralisti e il garante della loro libertà, era anche un
eloquentissimo avvocato degli accomodamenti parlamentari e il rettore
delle passioni e dei problemi che non sentiva e non aveva inteso, e
doveva guidare e risolvere . Era l'uomo politico più irresoluto e
verboso che in quei tempi così drammatici avesse l'Italia al suo
comando.
Come tale, egli viveva con tutto il suo
vigore e con pieno respiro, siccome un attore illustre e felice, nel
vecchio parlamento pre-bellico, dove le parole non convenivano ai
fatti e i pensieri alle parole, dove la scena richiedeva periodi
sonanti e condecenti per coprire il cinismo o l'ignoranza o le
pratiche miserabili dei consorti di tutti i partiti. E i consorti
odiavano le decisioni risolute e scherzavano con le idee sorridendo
alle passioni, e tenevano per supremo scopo di vita il proprio
dominio sul Parlamento, ch'era stato sempre il Comitato supremo
dell'amministrazione piccolo-borghese, nemica delle grandi idee e
delle imprese nobili e ardite.
Subito dopo l'armistizio , per il quale
il Governo italiano aveva concesso agli alleati di sostituirsi alla
nostra autorità in tutti i paesi dell'Impero distrutto e di fermare
il nostro esercito come indegno della vittoria ch'esso aveva
conquistato per tutti, S.E. Orlando avrebbe potuto indire le
elezioni, raccogliere gl'Italiani concordi intorno al nuovo Governo,
sul programma della pace da concludere, sul piano italiano della
pace.
S.E. Vittorio Emanuele Orlando, grande
giurista del diritto pubblico, non doveva, non poteva ignorare che la
Camera vecchia era senza autorità, già consunta dagli anni della
guerra, già distrutta dalla sua stessa o spudorata o dissimulata
opposizione alla guerra.
Così, con delittuosa violenza, e con
sovrumana insipienza S.E. Vittorio Emanuele Orlando si accinse a
dirigere le sorti della Patria senza l'aiuto dei combattenti e senza
le esperienze e l'anima della guerra; distrusse l'atout
formidabile di quelle nuove energie che l'Italia nuova pur offriva al
governo della Patria; si assunse il compito, questo retore del
parlamentarismo, di dominare da solo una realtà più grande di lui,
a lui ed ai sui invisa e straniera. L'onorevole Orlando non sciolse
il Parlamento: la guerra era stata un male, il vecchio Parlamento era
l'ideale Parlamento a por rimedio a quel male.
In queste condizioni il Capo del
Governo portò a Parigi non l'autorità solenne del popolo vittorioso
e la volontà giusta e generosa di una civiltà risorta che aveva
donato al mondo delle Nazioni un altro trionfo, ma la coscienza della
nostra antica miseria e inferiorità. Portò le contraddizioni
verbali fra una pace wilsoniana, illuministica, mitologica, ed una
pace storica e veramente duratura, come quella che avrebbe obbedito
al principio della giustizia distributiva, che dà a ciascuno il suo,
secondo i meriti e il valore e le garanzie obbiettivamente offerte e
documentate. Portò infine la sostanziale vacuità retorica e la
superficiale furbizia già in uso, splendidamente, nella Camera
italiana dei deputati.
[…]
Orlando offrì invece ai potenti la sua sottomissione compiacente, confermò le prove della sua umiltà , offerse i titoli della sua ingenuità di uomo, accomodante e querulo , e disarmò la Patria. Egli era entrato nel Congresso dei Dieci senza esperienza di popoli, di uomini e di problemi, senza passioni e senza idee. Già mancava ai parlamentari italiani, nonché la conoscenza, sì l'animo di una visione mondiale della politica delle Nazioni.
Orlando offrì invece ai potenti la sua sottomissione compiacente, confermò le prove della sua umiltà , offerse i titoli della sua ingenuità di uomo, accomodante e querulo , e disarmò la Patria. Egli era entrato nel Congresso dei Dieci senza esperienza di popoli, di uomini e di problemi, senza passioni e senza idee. Già mancava ai parlamentari italiani, nonché la conoscenza, sì l'animo di una visione mondiale della politica delle Nazioni.
Avevamo regalato – considerare la
cosa da un punto di vista strettamente diplomatico – la nostra
neutralità nel 1914; avevamo negoziato infelicemente nel 1915 il
nostro intervento, trascurando le clausole precise e concrete per
l'Oriente e per le Colonie, per gli aiuti finanziari ed economici;
avevamo regalato , senza discutere , i nostri soccorsi contro la
Bulgaria; avevamo sostituito la Russia contro l'Austria, senza
definire i nuovi obblighi degli alleati, secondo lo spirito e la
lettera del patto di Londra, che pure obbligava ka Russia a mantenere
un minimo di forze contro il comune nemico ; avevamo distrutto
l'Impero di Austria, che il patto di Londra , prevedeva ancor vivo e
vegeto per il giorno della pace.
[…]
Ora Francia e Inghilterra ostentavano
il fastidio del padrone che non ha più bisogno del servo. Orlando
riconosceva tale padronanza , non osava discutere le parole e le
pretese dei signori, sperava tutto dalla propria riguardosa
sottomissione , quasi che le decisioni della Conferenza, le più
inique e le più assurde , potessero escludere l'Italia da ogni loro
funesta conseguenza, come la venivano escludendo da una gusta
compartecipazione alla difesa e al progresso della comune civiltà
europea , in ogni parte della terra.
Orlando era tollerato perché si faceva
tollerare.